Quattro chiacchiere con… Rebecca Panei

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intervista

L’inverno 2020 porterà tante novità in Casa Golem, e una di queste è la spumeggiante Rebecca Panei, autrice del thriller “Il colore della neve”, libro che inaugura “Ombre”, la nuova collana dedicata ai romanzi cupi, misteriosi e psicologici. Scopriamo assieme qualcosa in più su questa autrice, che, ne siamo certi, farà ben parlare di sé!

o Chi sei dietro la tua penna?

È una domanda trabocchetto?
“Dimmi come ti descriveresti e ti dirò chi sei.”
Credo d’essere un ibrido tra uno scrittore vecchio stampo, coloro che comunicavano con i loro scritti, senza sognarsi di interagire con i lettori, e un animale sociale che si diverte a interagire con i suoi simili.
Inoltre sono una scrittrice con una profonda riluttanza a definirsi tale; di solito quando mi viene chiesto che lavoro faccio o invento di sana pianta – come quella volta in cui non battei ciglio nel presentarmi in quanto commessa viaggiatrice – oppure borbotto una mezza verità, citando l’editing.
Dunque o sono timida o sono pazza, probabilmente entrambe le cose.

o Cosa ti ha spinto a iniziare a scrivere? E chi è il tuo fan numero uno?

Temo che da dire risulti stereotipato e ridondante, ma è innegabile che la mia spinta verso la scrittura risalga a quando sono stata abbastanza grande da comprenderne il senso. Incominciai con la narrazione orale, inventandomi storie raccapriccianti riguardo la vecchia villa costruita dinanzi al mio palazzo; adibita all’epoca a casa di cura per malati fisici e mentali gravi, ha sempre stimolato la mia fantasia morbosa. Alcune amiche dei tempi dell’asilo si ricordano tutt’oggi della paura che provavano nel venirmi a trovare per via di ciò che raccontavo loro.
Con l’inizio delle elementari e l’apprendimento della scrittura, non ho mai davvero smesso un solo giorno di portarmi appresso penna e quadernini.

Riguardo il mio fan numero uno… sorvolando sull’ovvia presenza di mia madre e delle mie zie, la famiglia a cui per coscienza non posso togliere questo titolo, mi piace ripensare alla mia insegnante d’italiano del primo liceo: la professoressa Ranzo.
Trascorse qualche settimana dall’inizio della scuola e ci assegnò il primo tema dell’anno.
Un paio di giorni dopo venne a cercarmi durante la ricreazione, esordendo che non poteva aspettare la lezione successiva per parlarmi di quanto le fosse piaciuto il mio tema.
«L’ho fatto leggere al mio fidanzato, ai miei genitori, ai nonni… durante questo fine settimana l’ho dato a chiunque in famiglia per vantarmi della mia alunna» disse con un’aria così sorpresa che, a volerlo, avrei potuto offendermi. Soggiunge difatti che non avrebbe mai creduto sapessi scrivere in quel modo. «Sei riservata e poco appariscente in classe, per onestà non avrei dato un euro al tuo tema. Mentre altre ragazze, tanto estroverse e vivaci, mi hanno consegnato delle robette da componimenti delle elementari.»
Non le spiegai che se avevo affinato un’ottima capacità di comunicazione scritta, era anche perché quella orale con l’adolescenza stava veleggiando verso i lidi del disadattamento.
Mi limitai a ringraziarla con un’alzata di spalle.
La professoressa allora s’illuminò in volto e mi chiese se avessi intenzione di diventare scrittrice, salvo poi correggersi e dichiarare che no, non era una domanda: avrei dovuto assolutamente scrivere dei libri.
Ne rimasi toccata, più di quanto riuscii a esprimerle a causa dell’imbarazzo.

o Secondo te, lettura e scrittura vanno di pari passo? Devi essere un lettore accanito per essere un buon scrittore?

Assolutamente, indiscutibilmente sì.
La questione ritengo sia stata riassunta in modo brillante dall’autrice spagnola Rosa Montenero, nel suo trattato semi autobiografico sulla scrittura : “La pazza di casa.”
Scrisse di diffidare sempre di uno scrittore che, posto dinanzi a questa scelta, affermi di preferire la scrittura alla lettura. Colui che scrive, vivrebbe male se forzato a non farlo, ma morirebbe non potendo più leggere.

o Raccontaci de “Il colore della neve”. Come è nata l’idea? E come sei arrivata a conoscere Golem?

La genesi di questo libro non è lineare, bensì il concatenarsi di una serie di stimoli e ispirazioni: rimasi molto colpita dalla realtà de Il Serpentone quando mi capitò di passarci davanti perdendomi con la macchina; più e più volte mi sentii dire che il genere su cui avrei dovuto lavorare, poiché ideale per me, era il thriller psicologico; desideravo da tempo di riuscire a muovere un protagonista bambino in un contesto dove la sua giovane età sarebbe risultata disturbante.
Tutto questo, più ancora altro, è confluito nella prima trama grezza del libro.

Il mio incontro con la Golem è avvenuto durante la presentazione di uno dei suoi libri: “La mossa del gatto” di Sonia Sacrato. Tutto ciò che include la parola “gatto” ha per me l’effetto che il richiamo delle sirene ha avuto su Ulisse. La qual cosa mi sta facendo immaginare delle sirene miagolanti, quindi è meglio passare oltre.

o Descrivi “Il colore della neve” con tre aggettivi.

Introspettivo; buio; incalzante.

o Un libro che vorresti aver scritto tu?

“Suspiria de profundis” di Thomas de Quincey.
Ancora più nello specifico, sono in eguali parti incantata e invidiosa delle poche pagine – appena una decina – in cui descrive “Le nostre signore del dolore.
Rappresentano per me una vetta stilistica e un’ispirazione di quella che può venirti a bussare alla porta non più di una volta nella vita.
Avrei voluto scriverle io avendo spesso pensato a come poterle approfondire e sviluppare.

o Condividi con noi una citazione che ti porti nel cuore e che ricordi quando più ne hai bisogno.

“C’è una sola cosa orribile al mondo, un solo peccato imperdonabile: la noia.” Oscar Wilde.
E, come sua logica conseguenza: “In vecchiaia non vi pentirete delle cose che avete compiuto, bensì di quelle che non avete mai fatto.” Mark Twain.
Il primo morto e il secondo nato il giorno del mio compleanno. Non che c’entri nulla, ma è un dettaglio che amo ricordare.

“Il colore della neve” sarà disponibile in libreria dal 30 gennaio, ma potete già preordinarlo qui.

Trama: Un ragazzino appartenente alla Roma Bene la cui vita privilegiata pare non avere ombre: fortunato, ricco, viziato.
Un giovane uomo relegato ai margini della società, un’esistenza fatta di caseggiati popolari e lavori di fatica, che anela a ottenere un risarcimento da parte di chi nel passato l’ha condotto a essere ciò che è ora. Le loro strade, sebbene in apparenza opposte, s’incrociano e s’intrecciano in una spirale di violenza. Da questo si dipana una storia fatta di dolore e di vendetta, sofferenza e barlumi di speranza; una storia in cui la differenza tra vittime e carnefici diviene sempre più ambigua e sfumata.
Un noir cupo e profondamente introspettivo, che scava negli abissi dell’animo umano portando alla luce ciò che forse sarebbe dovuto rimanere sepolto.

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